Click sull'immagine per ingrandirla
« CARTOLINE DALLE DOLOMITI DEL BRENTA »
« La coscienza del "sacro", nell'umiltà dell'essere a fronte del mistero (che filosofie e scienze nuove invano tentano oggi di dissipare) approdano all'inesauribile interrogativo che è memoria e insieme provocazione d'amore... come si verifica per Cristini in una delle "cartoline" più ariose e scavanti, La luna sul Tuckett (dove il ritornante lacerto leopardiano "Che fai tu luna in ciel" moltiplica, nella sua originale musica, la forza di un interrogativo metafisica più che mai drammaticamente provocatorio per noi Post-moderni) Una visione "apocalittica", ma che non nasce nel segno della negazione assoluta ma piuttosto come "disperata speranza" di una radicale metànoia in cui l'uomo abbia il coraggio di non illudersi - demistificando sia il trionfalismo delle "magnifiche sorti" sia il masochismo astratto della nientificazione assoluta - per rinascere dalle sue stesse ceneri e tornare - questo è l'impegno inesauribile d'ogni autentica civiltà - ad essere uomo. Magari meditando sul significato del Il giglio rosso" (non a caso preso ad insegna della collana che questa plaquette inaugura), fiore alpestro che sboccia intatto sulle petraie dolomitiche, difeso dalla vipera, ed emblema (si veda la lirica ad esso dedicata) della solitaria inattingibile bellezza. »
Alberto Frattini ( Il Popolo » 2.8.85)
« Cristini mi sta davanti cristallino. È
forse un sogno? Oggi, nell'Italia del 1985, dopo tanti decenni di
contorcimenti da prigioni michelangioleschi, si può essere
così limpidi e "onesti", farsi capire, dire roccia alla roccia
e cengia alla cengia, non nascondere quasi nulla del discorso lirico
alla comprensione anche dell'occhio e della mente, senza per questo
compromettere l'incanto misterioso e sempre un po' cifrato della
poesia?
Sì, è possibile. Non solo, ma leggendo questi pezzi
sembra anche facile, anzi, l'unica cosa possibile. In realtà
è difficilissimo. E- se Cristini ci ha messo tanto per
maturare questa lirica enunciazione, siano benedetti questi anni di
incubazione e di silenzio. »
Italo Alighiero Chiusano (« Il nostro tempo » 3.11.85)