L'OFITA

 

10/03/2011
LASTAMPA.IT - 10-03-2011
L’incontro con l’altro non deve fare paura: tutti i gruppi umani sono in sé pluriculturali

TODOROV: LA NOSTRA IDENTITÀ UNA E CENTOMILA

TZVETAN TODOROVdistPer affrontare il tema della pluralità delle culture nell’ambito di una società, mi vedo obbligato a precisare anzitutto il senso della parola «cultura». Lo impiegherò nell’accezione che, da oltre un secolo, le hanno dato gli etnologi. In tale senso ampio, descrittivo e non valutativo, ogni gruppo umano ha una cultura: è il nome dato all’insieme delle caratteristiche della sua vita sociale, ai modi di vivere e di pensare collettivi, alle forme e agli stili di organizzazione del tempo e dello spazio, e questo include la lingua, la religione, le strutture familiari, i modi di costruzione delle case, gli utensili, i modi di mangiare e di vestirsi. I membri del gruppo, inoltre, qualunque siano le sue dimensioni, interiorizzano tali caratteristiche sotto forma di rappresentazioni mentali. La cultura esiste dunque a due livelli strettamente correlati: quello delle pratiche comuni al gruppo e quello dell’immagine che esse lasciano nello spirito dei membri della comunità.

distL’essere umano – ed è una delle caratteristiche che lo contraddistinguono – nasce nell’ambito non solo della natura, ma anche, sempre e necessariamente, di una cultura. La prima caratteristica dell’identità culturale è che essa è imposta al bambino e non da lui scelta. Venendo al mondo, il piccolo dell’uomo è immerso nella cultura del suo gruppo, che gli è anteriore. Il fatto più saliente, ma probabilmente anche il più determinante, è che noi nasciamo necessariamente nell’ambito di una lingua, quella parlata dai nostri genitori o dalle persone che si prendono cura di noi. Il bambino non può evitare di adottarla. Ebbene, la lingua non è uno strumento neutro, è intrisa di pensieri, azioni, giudizi ereditati dal passato; essa ritaglia il reale in una data maniera e ci trasmette impercettibilmente una visione del mondo.

distUna seconda caratteristica dell’appartenenza culturale salta parimenti agli occhi: possediamo non una, bensì parecchie identità culturali, che possono incastrarsi o presentarsi come insiemi intersecati. Un francese (per fare un esempio legato alla mia esperienza; ma lo stesso vale per italiani, spagnoli, inglesi…) proviene sempre da una regione, poniamo che sia bretone, e però condivide parecchie delle caratteristiche di tutti gli europei: dunque partecipa al tempo stesso delle culture bretone, francese ed europea. D’altra parte, all’interno di un’unica entità geografica, le stratificazioni culturali sono molteplici: ci sono la cultura degli adolescenti e quella dei pensionati, la cultura dei medici e quella degli spazzini, la cultura delle donne e quella degli uomini, dei ricchi e dei poveri. Un individuo può riconoscersi al tempo stesso nella cultura mediterranea, cristiana ed europea: criteri geografico, religioso e politico. Ebbene – e questo è essenziale – tali diverse identità culturali non coincidono tra loro, non formano territori chiaramente delimitati dove i diversi ingredienti si sovrappongono. Ogni individuo è pluriculturale; la sua cultura non assomiglia a un’isola monolitica, ma si presenta come il risultato di alluvioni che si sono incrociate.

distSotto questo aspetto la cultura collettiva, quella di un gruppo umano, non è diversa. La cultura di un Paese come la Francia è un insieme complesso, fatto di culture particolari, le stesse nelle quali si riconosce l’individuo: quelle delle regioni e dei mestieri, delle età e dei sessi, delle posizioni sociali e degli orientamenti spirituali. Ogni cultura, inoltre, è segnata dal contatto con quelle vicine. L’origine di una cultura si trova sempre nelle culture anteriori: nell’incontro tra più culture di dimensioni minori o nella scomposizione di una cultura più vasta, o nell’interazione con una cultura vicina. Non accediamo mai a una vita umana anteriore all’avvento della cultura. E non a caso: le caratteristiche «culturali» sono già presenti in altri animali, segnatamente nei primati. Non esistono culture pure e culture mischiate; tutte le culture sono miste («ibride» o «meticcie»). I contatti tra gruppi umani risalgono alle origini della specie e lasciano sempre tracce sul modo in cui i membri di ogni gruppo comunicano tra loro. Per quanto lontano si possa risalire nella storia di un Paese come la Francia, si trova sempre un incontro tra più popolazioni, dunque più culture: galli, franchi, romani e molti altri.

distSiamo giunti così a una terza caratteristica della cultura: quella di essere necessariamente mutevole. Tutte le culture cambiano, anche se è certo che quelle dette «tradizionali» lo fanno meno volentieri e meno rapidamente di quelle cosiddette «moderne». Tali cambiamenti hanno molteplici ragioni. Poiché ogni cultura ne ingloba altre, o si interseca con altre, i suoi diversi ingredienti formano un equilibrio instabile. Ad esempio, la concessione del diritto di voto alle donne in Francia, nel 1944, ha permesso loro di partecipare attivamente alla vita pubblica del Paese: l’identità culturale francese ne è stata trasformata. Allo stesso modo quando, ventitré anni dopo, le donne hanno ottenuto il diritto alla contraccezione, questo ha portato con sé una nuova mutazione della cultura francese. Se l’identità culturale non dovesse cambiare, la Francia non sarebbe diventata cristiana, in un primo tempo; laica, in un secondo. Accanto a queste tensioni interne ci sono anche i contatti esterni con culture vicine o lontane, che provocano a loro volta modificazioni. Prima d’influenzare le altre culture del mondo, la cultura europea aveva già assorbito le influenze egiziana, mesopotamica, persiana, indiana, islamica, cinese… A ciò si aggiungono le pressioni esercitate dall’evoluzione di altri elementi costitutivi dell’ordine sociale: economico, politico, persino fisico.

distSe si tengono presenti queste ultime caratteristiche della cultura, la sua pluralità e la sua variabilità, si vede quanto siano fuorvianti le metafore utilizzate più comunemente. Di un essere umano si dice, ad esempio, che è «radicato» e lo si deplora; ma tale assimilazione degli uomini alle piante è illegittima, poiché il mondo animale si distingue dal mondo vegetale proprio per la sua mobilità, e l’uomo non è mai il prodotto di un’unica cultura. Le culture non hanno essenza né «anima», malgrado le belle pagine scritte su quest’argomento. O ancora, si parla della «sopravvivenza» di una cultura, intendendo con ciò la sua conservazione identica. Ebbene, una cultura che non cambia più è, esattamente, una cultura morta. L’espressione «lingua morta» è molto più fondata: il latino è morto il giorno in cui non poteva più cambiare. Nulla è più normale, più comune, della scomparsa di uno stato precedente della cultura e della sua sostituzione con uno stato nuovo.

distTZVETAN TODOROV


10/03/2011
IGN- 10-03-2011
MOSTRE: A FIRENZE PICASSO, MIRÒ E DALÌ GIOVANI E ARRABBIATI

Salvador DalìdistOltre sessanta opere della produzione giovanile dei grandi artisti spagnoli Pablo Picasso, Joan Miro' e Salvador Dali' e oltre cento schizzi picassiani provenienti dai piu' importanti musei spagnoli, dal Metropolitan Museum of Art e da collezioni private saranno in mostra a Firenze, in Palazzo Strozzi, da sabato 12 marzo fino al 17 luglio. L'esposizione ''Picasso, Miro', Dali'. Giovani e arrabbiati: la nascita della modernita''' e' promossa e organizzata dall'Ente Cassa di Risparmio di Firenze e dalla Fondazione Palazzo Strozzi con il supporto della Soprintendenza per il Polo museale fiorentino. La mostra e' concepita in modo innovativo per far vivere al visitatore un'esperienza di completa immedesimazione nella straordinaria atmosfera artistica dei primi anni del Novecento. Una rassegna strutturata come un film composto da flashback che rinviano a una serie di incontri e incroci tematici e formali tra i tre grandi pittori spagnoli, ''ripresi'' all'inizio della loro avventura di artisti ''giovani e arrabbiati''. La mostra indaga sulle radici comuni di uno stile che ha in seguito reso celebri i nomi dei tre artisti e sulla loro comune voglia di ribellarsi alle convenzioni dell'epoca. L'arte giovanile di Picasso rifletteva spesso le sue forti convinzioni politiche. Nel 1901, con il suo amico anarchico Francisco de Asi's Soler fondo' a Madrid la rivista ''Arte Joven'' (Arte Giovane) con vignette firmate da Picasso che rappresentavano la condizione dei poveri, con la quale solidarizzava. Anche Miro' intese l'arte come un aspetto della politica, come attesta la sua affermazione che ''l'assassinio della pittura'' deriva da un'avversione per l'arte borghese, soprattutto se usata per promuovere un'identita' culturale tra i ricchi. Allo stesso tempo nel 1926, Dali', che era molto piu' giovane di Picasso e Miro' essendo nato nel 1904, fu espulso dall'Accademia poco prima degli esami finali, poiche' sosteneva che nessuno all'interno della facolta' era abbastanza competente per poterlo esaminare.

 

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